Veneto: occupazione femminile al top, ma abbiamo poche imprese guidate da donne – CGIA Mestre, 20.12.25
Se guardiamo il tasso di occupazione femminile, nel 2024, il dato del Veneto si è attestato al 62,3 per cento. Tra le più importanti regioni del Centro-Nord, solo la Toscana (63,7) e l’Emilia Romagna (63,2) presentano una percentuale superiore alla nostra. Per contro, quando osserviamo le imprese attive, guidate da donne per regione, il Veneto, pur contandone 86.972[1], è nella parte bassa della graduatoria nazionale per incidenza percentuale delle imprese femminili sul totale (20,8 per cento). A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA. Insomma, abbiamo molte donne che lavorano, ma poche che fanno impresa. Nonostante ciò, benché i dati relativi al Veneto non siano particolarmente esaltanti, in molti settori anche della nostra regione, le aziende guidate da donne sono fondamentali, perché continuano a dare una spinta importante alla crescita e contribuiscono ad aumentare notevolmente la qualità del sistema economico[2]. A differenza dei colleghi maschi, inoltre, le donne imprenditrici tendono a dare lavoro soprattutto ad altre donne. In un Paese come il nostro, che ha il tasso di occupazione femminile più basso d'Europa, avere più imprenditrici è un passo decisivo per contrastare anche le disuguaglianze di genere. Una leva da valorizzare. L’imprenditoria femminile non è solo una questione di equità sociale o di pari opportunità, svolge un ruolo importante nel far crescere l’occupazione femminile e l’autoimpiego. In un contesto segnato da stagnazione demografica, transizioni tecnologiche e ridefinizione dei modelli di lavoro, il contributo delle donne all’attività imprenditoriale rappresenta una leva da valorizzare di più. I dati internazionali mostrano una costante: la quota di imprese guidate da donne è significativamente inferiore a quella maschile, nonostante livelli di istruzione mediamente più elevati e una crescente presenza femminile nel mercato del lavoro. Questo divario non è neutrale dal punto di vista macroeconomico. Secondo stime di organismi internazionali, colmare anche solo parzialmente il gap di genere nell’imprenditorialità potrebbe generare un aumento rilevante del Pil, grazie a una migliore allocazione del capitale umano e a una maggiore diversificazione del tessuto produttivo. Modelli di governace più inclusivi. L’importanza dell’imprenditoria femminile emerge anche sul piano qualitativo. Numerosi studi indicano che le imprese guidate da donne tendono ad avere modelli di governance più inclusivi, una maggiore attenzione alla sostenibilità di lungo periodo e una propensione più elevata all’innovazione organizzativa. Non si tratta di tratti “naturali”, ma del risultato di percorsi professionali spesso più complessi, che costringono le imprenditrici a sviluppare competenze trasversali e strategie adattive. In un’economia sempre più basata su servizi avanzati, economia della conoscenza e relazioni, questi fattori diventano competitivi. Alto valore sociale. C’è poi un aspetto settoriale. L’imprenditoria femminile è particolarmente presente in ambiti come sanità, istruzione, welfare, cultura e servizi alla persona, settori che stanno assumendo un peso crescente nelle economie mature. Rafforzare queste imprese significa investire in comparti ad alto valore sociale e con forti esternalità positive, spesso trascurati dalle politiche industriali tradizionali, ma centrali per la coesione e la produttività complessiva. Difficoltà di accedere al credito. Il problema non è la mancanza di iniziativa, ma l’accesso alle risorse. Le imprenditrici incontrano ostacoli sistemici: maggiori difficoltà nel credito, minore accesso al capitale di rischio, reti professionali più deboli, oltre al carico sproporzionato di lavoro di cura. Questi vincoli producono imprese mediamente più piccole e meno capitalizzate, non per limiti di capacità, ma per condizioni di partenza asimmetriche. Il risultato è una perdita di potenziale per l’intero sistema economico. Da qui, il ruolo delle politiche pubbliche, che dovrebbero spostarsi da un approccio simbolico a uno strutturale. Incentivi mirati, strumenti finanziari dedicati, servizi di accompagnamento e, soprattutto, politiche per la conciliazione tra lavoro e vita privata non sono misure “per le donne”, ma interventi pro-crescita. Le imprese in rosa vanno bene a Rovigo e a Belluno. La provincia che ne conta di più è Padova. La provincia del Veneto con l’incidenza delle imprese femminili sul totale provinciale più elevata è Rovigo. Nel capoluogo polesano le 5.067 imprese femminili costituiscono il 23,4 per cento del totale. Seguono Belluno con un’incidenza del 21,3 per cento e 2.738 aziende a guida femminile e Verona con il 21,1 per cento e 17.322 attività capitanate da donne. Infine, la provincia che conta il più alto numero di imprese attive guidate da donne è Padova con 17.618. Seguono, come dicevamo più sopra, Verona con 17.322 e Treviso con 15.787[3].
[1] Al 30 settembre 2025 [2] Pensiamo al commercio, al turismo, alla ristorazione e ai servizi alla persona. [3] Dati sempre al 30 settembre 2025.
Importante nota, quella sopra, di CGIA Mestre e confortante che, in Veneto, si sia ad una valida percentuale di occupazione femminile e altrettanto, anche se in percentuale modesta, di donne, alla guida di un’impresa. Comunque, siamo sulla buona via!
Pierantonio Braggio