Una 'ciclostaffetta' itinerante da Duino (Trieste) a Roma per chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni. L'organizzazione è a cura dell' associazione Fiab Bisiachinbici di Monfalcone (Gorizia), assieme ad altre associazioni, e la partenza avverrà il 22 settembre dal Collegio del Mondo Unito dell'Adriatico, istituto frequentato da Regeni, con arrivo previsto a Roma il 3 ottobre. Qui gli "ambasciatori in bici" consegneranno alle Istituzioni una lettera dei genitori del ricercatore friulano.
Il viaggio A Roma per Giulio, di oltre 800 chilometri, toccherà città come Pordenone, Portogruaro (Venezia), Padova, Ferrara, Bologna, Firenze, Grosseto e Tarquinia.
"Durante la ciclostaffetta - ha detto uno dei tre ciclisti che partiranno da Duino, Alessio Russi - incontreremo amministratori locali e regionali. A Roma ribadiremo che il nostro interlocutore non è l'Egitto, ma lo Stato italiano: la retorica si è sprecata e la situazione è peggiorata, bisogna passare ai fatti. Con chi sta lo Stato? Con il carnefice o la vittima?".
Roberto Fico, presidente della Camera, ha incontrato intanto lunedì 17 il presidente egiziano Al-Sisi ,spiegando al termine del colloquio che “la questione della morte di Giulio Regeni è stato l’unico punto all’ordine del giorno “
“Siamo a un punto di stallo – ha sottolineato Fico - e le due Procure, quella di Roma e quella del Cairo, hanno lavorato insieme; quella italiana ha fatto un lavoro eccezionale, raccogliendo indizi e arrivando a novità importanti che sono state consegnate ai colleghi egiziani.
Ma siamo in stallo – ha ribadito Fico -. Spero che ci siano soluzioni immediate e che inizi un vero processo. Nell’incontro ho sottolineato ad Al Sisi che Giulio Regeni era un ricercatore italiano, sequestrato, torturato per sette lunghi giorni e ucciso”.
Di questo crimine non sono responsabili “cittadini comuni”. C’è stata una sofisticazione delle torture – prosegue Fico -, una serie di depistaggi” perché prima Giulio è stato dipinto come “un ragazzo che faceva delle feste particolari, poi una spia, poi è stato vittima di una banda di criminali e cinque persone sono state uccise dalla polizia egiziana in un blitz in cui sono stati ritrovati i documenti di Regeni, ma poi si è scoperto che era tutta una montatura. Ho ricordato ad Al Sisi che Regeni è stato anche diffamato in una prima fase. In una seconda fase, invece, è stato detto che Giulio era un costruttore di pace”.
“Senza protocollo la procedura di indagine è andata avanti. E le indagini hanno portato a dei nomi, nove persone, e si è capito che attorno a Regeni si è mossa una vera e propria rete chelo ha pedinato, seguito e che gli è stata addosso per poi sequestrarlo, torturarlo e ucciderlo. Al-Sisi i conosce bene tutte queste cose. Mi ha assicurato che è una priorità per l’Egitto. Sono stato molto chiaro nel dire che adesso servono i fatti e una soluzione. Dopo due anni e mezzo non c’è ancora un processo e solo indagini".
"Vogliamo un processo, che sarà complicato, ma serve un passo in avanti. I rapporti tra i due parlamenti sono molto complicati. Se non facciamo passi avanti seri e sostanziali per arrivare a una verità definitiva per assicurare alla giustizia gli uccisori e minare il sistema degli esecutori, allora i rapporti sono sempre complicati e poco sereni e tesi. Ho insistito su questo, che è il punto all’ordine del giorno, dell’opinione pubblica italiana e della famiglia Regeni e dello Stato italiano".
Fico, ricordando l'arresto della moglie del consulente legale egiziano della famiglia Regeni., ha concluso rilevando che “è stato un incontro molto trasparente e ci siamo detti le cose che andavano dette. Spero che nel prossimo incontro tra le Procure ci sia un definitivo passo avanti. Dobbiamo passare ai fatti. La Procura di Roma - ha concluso Fico -, li ha trovati quei fatti, e ora dobbiamo lavorare su questa strada".
L'omicidio di Giulio Regeni, nato a Trieste nel 1988 ma residente a Fiumicello, in provincia di Udine, è stato commesso in Egitto tra il gennaio e il febbraio 2016. Regeni era un dottorando italiano dell'Università di Cambridge; fu rapito il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir. Il suo corpo fu ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
Le condizioni della sua salma, ritrovata vicino al Cairo in un fosso lungo l'autostrada Cairo-Alessandria, hanno immediatamente messo in luce gli evidentissimi segni di atroce e ripetuta tortura, eventualmente in connessione per i legami che il giovane ricercatore, Giulio Regeni, si supponeva potesse avere con il movimento sindacale che si oppone al governo del generale al-Sīsī, legami che tuttavia non sono mai stati provati.
L'uccisione di Giulio Regeni ha dato vita in tutto il mondo, e soprattutto in Italia, ad un acceso dibattito politico vertente sul coinvolgimento parziale o totale, attraverso uno dei suoi servizi di sicurezza, dello stesso governo egiziano nell'intera vicenda del rapimento, della tortura, dell'omicidio del Regeni e dei depistaggi successivi. Tali sospetti hanno costituito motivo di forti tensioni diplomatiche con l'Egitto e tuttora non è stata scoperta la verità rispetto alla morte del giovane friulano