Così, con amarezza e ironia, si è rivolto uno studente di terza media alla sua insegnante di lettere, dopo la visita compiuta dalla sua classe a Montecitorio, il 27 aprile scorso, alle 17, l’appuntamento forse più atteso della gita di tre giorni a Roma.
Eleganti, silenziosi, emozionatissimi, avevano attraversato quelle stanze solenni, quei corridoi storici, in un’atmosfera sacra, la stessa, per certi versi, del giorno precedente, quando avevano visitato la basilica di San Pietro, le Stanze di Raffaello, la Cappella Sistina. La seduta era in corso. Il relatore parlava a sé stesso, ascoltato solo dai tre o quattro deputati accanto a lui e da una decina di altri che, sparsi per l’aula, manifestavano il loro dissenso con urla, fischi e onomatopee da stadio. Nel frattempo i pochi altri presenti, incuranti del luogo e del loro dovere, incuranti di essere osservati dai visitatori, chiacchieravano amabilmente col vicino, giocavano con l'I Phone, facevano una partita a poker con il PC, leggevano riviste patinate. E poi discussioni animate, passeggiate da una postazione all’altra, voci e vari capannelli davanti o a questo o a quel seggio… Poi, all’improvviso, un fuggi fuggi generale e via, di corsa, a raggiungere il proprio, di seggio, per arrivare in tempo al voto digitale, dato distrattamente, come distrattamente avevano seguito l’oratore di turno.
Certo, Atene ci guarda, da molto lontano. L’Atene dei Grandi il cui pensiero pensiero filosofico e pensiero politico illumina il nostro cammino, Grandi ai quali noi, uomini e donne del terzo Millennio, ancora ci rivolgiamo con parole di ammirazione e di rispetto. A quei signori vorremmo dire che il vostro comportamento è uno schiaffo a tutti coloro i quali, semplicemente, con la loro quotidianità, fatta di lavoro, di studio, di impegno, di sacrifici grandi e piccoli, di speranze, progetti e sogni, mandano comunque avanti la Nazione. Senza di voi, anzi direi, malgrado voi.
A.D.Z.