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Mercoled 6 Dicembre 2023
ALESSANDRO D’AVENIA: PERCHÉ L’ODISSEA RIGUARDA ANCORA TUTTI NOI?

Dopo quattro anni dalla sua ultima opera, Alessandro D'Avenia torna in libreria con ''Resisti, cuore - L'Odissea e l'arte di essere mortali''. Lo scrittore rilegge i ventiquattro canti del poema sotto una nuova luce e mostra come i classici siano ancora in grado di dialogare con il presente.
Quale lezione si può trarre, ancora oggi, da Ulisse? Lo racconta D'Avenia in quest'intervista.


Il titolo della sua opera è emblematico: ''Resisti, cuore'': fin dalla copertina si entra nell'ottica di un richiamo profondo al cuore. In questo appare chiara la necessità di guardare sul fondo della nostra esistenza e ri-esistere a partire da esso, cioè esistere nuovamente a partire da un dialogo con noi stessi. Lei pensa che questa sia una pratica che stiamo facendo fatica a tenere viva all'interno della nostra società o che per certi versi stiamo riscoprendo?

«Io credo che quello che ci viene dagli antichi, e quindi da un'opera immortale come L'Odissea, è qualcosa che noi continuiamo a non voler dimenticare proprio perché ce ne siamo dimenticati. Se ancor oggi L'Odissea ci affascina è perché abbiamo nostalgia di qualcosa che vi è contenuto. Ci sono delle cose che noi riconosciamo essere vere, e parlo di verità non in termini di acquisizioni di un concetto astratto, ma di quella verità che per i greci era il venire alla luce delle cose. Quello che mi ha sempre colpito dell'Odissea sono tutti quei momenti in cui i personaggi parlano con il proprio cuore. Il che significa che c'è qualcosa di umano, nell'uomo, che sfugge al semplice fare: noi viviamo in un'epoca in cui ci identifichiamo, se non con l'apparire, quanto meno con il fare; ricorre sempre un tentativo, quindi, di produrre il significato di noi stessi attraverso qualcosa che è esteriore. Abbiamo una grande nostalgia - per usare un termine dell'Odissea - di poter stare al mondo con il semplice essere. Quando, invece, ad Ulisse viene tolto tutto ecco che inaugura questi dialoghi con il cuore. Quando dice al cuore ''resisti'' è perché non ha più altra risorsa per tornare ad Itaca, solo il suo destino. Ed ecco cosa ci ricorda L'Odissea: l'unica maniera di essere davvero vivi è costruire un'Itaca che abbiamo già nel cuore.»

Lei rilegge i classici sotto una nuova luce, lo dimostra non solo questa sua pubblicazione, ma anche L'arte di essere fragili dove, grazie all'incontro con Leopardi, rivela il suo metodo per la felicità. Anche Leopardi leggeva ed amava i greci. Ecco, in tal senso: quanto è importante continuare ancora oggi a scoprire quel popolo che più di tutti ha saputo mettere in forma il caos che si è?


«Classico era per i romani il soldato di lungo corso, che doveva insegnare ai nuovi arrivati come sopravvivere. La battaglia che il classico vince, quindi, è quella con il tempo: in tal senso, un classico restituisce la vittoria contro il continuo morire delle cose, perché porta in salvo, dando parola, qualcosa che deve sempre rimanere in vita, essere in luce. Il classico è qualcosa che rinnova la nostra vita, restituendo tutto ciò che avevamo perso dietro a menzogne e illusioni.
Noi oggi tendiamo ad avere paura della morte, mentre i greci, avendola così presente ai loro occhi, chiamavano gli uomini ''mortali'': la volontà si impegnava a strappare, a questo continuo precipitare nella morte delle cose, quello che invece meritava di restare in vita. È questa la grande lezione che io ho ricevuto dai greci e quello che oggi noi potremmo un po' recuperare in un mondo in cui ci illudiamo di essere immortali; la tecnica ci dà oggi tanta felicità, ma anche tanta menzogna su noi stessi, perché pensiamo che a un certo punto riusciremo a sconfiggere la morte. Ma non è così.»


Il viaggio di Ulisse è fatto di peripezie: sofferenza, perdita, nostalgia del futuro e, per certi versi, anche del passato. Chiunque insomma potrebbe ritrovarsi, perché la vita sa essere anche dolore. Questa sua opera arriva dopo diversi anni dall'ultima (L'appello), e contiene parti autobiografiche. Le chiedo, allora, se anche lei sente di aver fatto finalmente ritorno ad Itaca.

«Io intendo la scrittura dei libri come singoli capitoli di un'unica storia che è quella dell'anima. Quest'opera, che ha come sottotitolo ''L'arte di essere mortali'', si va a ricollegare a ''L'arte di essere fragili'' e in un certo senso porta avanti il discorso.
Ma se ne ''L'arte di essere fragili'' il discorso era universalizzato e basato sull'esperienza scolastica, ora mi sono reso conto che dovevo andare ancora più in profondità e, per questo, dovevo verificare se L'Odissea fosse veramente un percorso di ritorno a casa, a partire dalla mia esperienza. Per questo, io accenno alla mia biografia: per verificare in prima persona se la mia esperienza possa essere condivisibile, se tutti possano tornare a dialogare con il classico; intendendo, quindi, il classico come un luogo in cui comprendere lo stare nella vita, vivendolo come ciò che tutti gli uomini sono chiamati ad affrontare. Quindi, se l'esperienza di Ulisse è stata significativa per la mia vita, può esserlo anche per tutte le altre: perché siamo tutti umani che devono nascere. E ogni tanto lo dimentichiamo, crediamo di essere fatti per morire, mentre invece L'Odissea racconta come si nasce. Questo è il regalo più grande che la letteratura ci fa: nel momento in cui io non mi riconosco solo, ma accomunato dall'esperienza di qualcuno, che addirittura è vissuto migliaia di anni prima di me, significa che si è fratelli, amici di chi ha abitato il passato. Allora, possiamo guardarci e scoprire che un classico ci rende anche più società».

CREDITI IMMAGINE: Marta D’Avenia



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