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Venerd 4 Ottobre 2024
Il Premio “Rubiani”, a celebrazione degli “Illustri di Verona”. La prima edizione, dedicata a Guido Morari, campione dell’ospitalità, nella Ristorazione. Ce ne parla Ugo Brusaporco

Il Premio “Rubiani”, a celebrazione degli “Illustri di Verona”. La prima edizione, dedicata a Guido Morari, campione dell’ospitalità, nella Ristorazione. Ce ne parla Ugo Brusaporco.

“Guardo Verona dalla Bra. Stasera si canta in Arena, la piazza è un formicaio impenetrabile e dominato da una frenesia, che è indice di come, nel frettoloso mondo in cui viviamo si è perso proprio il senso del vivere. Vedo un amico non riesco a raggiungerlo è portato via dalla folla che corre verso i cancelli dell’anfiteatro, peggio che allo stadio! Ecco cosa vuol dire una città turistica come Verona, non potersi parlare, diventare estranei nella tua città. Una città invasa da migliaia di persone indaffarate, la sera per entrare in Arena, dopo aver trangugiato in fretta qualcosa al turno delle 19, e di giorno, giù dai pullman e lanciarsi tra una foto all’Arena, una palpatina alla tetta di Giulietta, un selfie da qualche parte e, ancora, un veloce pasto. Un pasto che, se non è un panino, è qualche piatto da riscaldare, tipo mensa aziendale. E va bene tutto. Certo, qualcosa resta, pizzerie che si alternano a essere di moda, e trattorie e ristoranti che si affannano a servir clienti arrivando anche a far turni per accoglierli tutti. In fondo il punto per molti che operano in una città turistica è incassare, il guadagno diventa l’unico motore, come succede al lago o al mare, dove in una stagione si consuma il lavoro, ma Verona è una città che deve vivere tutto l’anno, anche se nessuno sembra capirlo. Il turista è il pollo da spennare, e il cittadino è la vittima collaterale di questa impresa economica, non a caso il turismo è la grande industria che mantiene il pil italiano. In mezzo a questo mondo frettoloso tutto sembra naufragare in una indifferenza totale verso la qualità e lo star bene, per fortuna, anche nelle città turistiche, però si trovano oasi che confidano altre storie, e Venezia, di cui nel mondo tutti parlano, è l’esempio da seguire: ha i mitici hotel che ancora ne raccontano con dignità e onore l’antico splendore. Andate al Danieli, al Gritti, al Londra Palace, non sono luoghi da Trip Advisor, sono locali di classe superiore che hanno bar e cucine e servizio da vere stelle, impeccabili. E ancora, grazie al loro esempio, ce ne sono altri perché la ricca tradizione alberghiera della città sulla laguna ha avuto il coraggio di mantenere una antica tradizione, e, insieme, ha avuto la forza di sfidare il turismo di massa. Quel turismo dei b&b e della frugalità dell’ingurgitare qualsiasi cosa, e pronto ad accettare qualsiasi non servizio, che noi a Verona conosciamo bene. Ma Verona non è Venezia, la tradizione alberghiera con barman e cucina e servizio adeguato resta solo al Due Torri, poco frequentato dai veronesi. Perché i veronesi non sono gente da andare al bar all’Hotel, forse perché mancano i grandi barman, l’ultimo è Franco Capone proprio al Due Torri. Ma a Verona, c’è un uomo che nell’ultimo mezzo secolo ha raccontato la classe dell’ospitalità veronese nella ristorazione, un vero mito scaligero: Guido Morari. Sì proprio Guido, l’uomo che si è inventato il leggendario Marconi. L’uomo che ha dato lustro allo storico Caffè Dante e che ha affascinato la città col suo Cesare. Lui. Quel Signore che, sempre elegante, e con innata classe, ha insegnato cos’è il servizio nella ristorazione ad almeno tre generazioni, restando sempre un faro di riferimento per l’accoglienza culinaria in una Verona grazie a lui internazionale. Incontriamo Guido Morari, al Rubiani, affascinante ristorante, porta d’ingresso alla storica Piazza Bra, con vista sull’Arena. Incredibile il luogo, se non fosse per qualche stampa difficile da pensare che fino al 1822 si affacciava in un vallo, come quello che circonda l’Arena, e che per raggiungere i palazzi intorno servivano delle scale. Scale che presero il nome dalla famiglia Rubiani, che nel Seicento prese possesso della proprietà che fu delle famiglie dei Campagna e poi dei Crotto. La Storia di Verona è complessa, da raccontare, come tutte le storie antiche, ed eccoci qua ora al Rubiani. Ad accoglierci è Massimo, affabile padrone di casa, che ci intrattiene, insieme vediamo Guido attento a ospitare a un tavolo un gruppo di giovani stranieri, stupiti dai suoi modi sapienti, nel guidarli al tavolo, nel sistemarli sulle sedie, nell’avvicinarli alla confidenza, rara, di stare a tavola insieme. Il suo è un lavorare silenzioso, delicato, deciso, ma mai opprimente, ed ecco un cameriere che arriva con l’acqua ed è Guido a servirla con una parola per ognuno dei commensali e un sorriso, particolare, per le due signore. Era necessario, vista la terribile calura, non gettare i menù sul tavolo, ma mettere a proprio agio l’ospite con un bicchiere d’acqua. Si allontana un momento per prendere i menù, ritorna e li consegna aperti, a ognuno spiegando i ricchi piatti e insieme i sapienti sapori che avrebbero scoperto, senza imporsi, suggerendo. Ancora si ritira lasciando loro il tempo di pensare, poi torna con la carta dei vini e chiede quale è il loro gusto, cosa conoscono… e infine suggerisce, prima di lasciare loro la carta e ancora ritirarsi. La cultura giapponese insegna quali sono i riti del te, Guido ha costruito un vero rito veronese del servire a tavola, togliendo la fretta, regalando il peso vitale del tempo. Ritorna quindi al tavolo e loro chiedono i piatti trovando il tempo di guardare Guido per una approvazione che, con un sorriso accennato, lui concede. Ora il peso del lavoro scivola in cucina e Guido Morari ha qualche minuto da dedicare a noi, curiosi di conoscere la sua storia.
“La mia famiglia ha origini mantovane- ci spiega- un diluvio ha distrutto le nostre campagne, così ci siamo trasferiti a Verona. Qui la mia famiglia ha aperto una trattoria in via Alessandro Volta, si chiamava Alla Biondella, era una cucina locale, tipica: bolliti, cotechino … cucina veronese con qualche influenza mantovana. Io ho cominciato a lavorare con loro, avevo tredici anni, mia madre era in cucina e io e mio padre servivamo in sala. Ho dei ricordi di una Verona bellissima, di famiglie bellissime. Stavano scavando la galleria che univa la Valpantena a Borgo Venezia, e noi portavamo ogni mattina 14 litri di caffè, sette bottiglioni, ai minatori che vi lavoravano. Mi ritrovai militare a Milano al Comando della 1ª Regione Aerea, qui ebbi la fortuna di conoscere Claudio Costa, quello della Costa Crociere, lo ritrovai anni dopo, si era fermato al Caffè Dante a mangiare, mi vide e ci riconoscemmo, fu emozionante”.Con l’occhio attento segue l’andamento del largo e confortevole plateatico, che fa anche da fresco rifugio per la terribile afa. Non resiste e va a controllare se i giovani allievi hanno capito la lezione. Si alza e si avvicina a una coppia, si è accorto che hanno i bicchieri d’acqua vuoti e con elegante leggerezza glieli riempie ancora, come una mamma che rabbocca le lenzuola ai propri figli.
“A 32 anni – ricorda- il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, mi chiama a Roma e divento il più giovane Cavaliere d’Italia. Ma andiamo con ordine. Finito il militare, il 2 settembre del 1968 apriamo il Marconi in Vicolo Crocioni, proprio accanto al teatro Nuovo, a due passi da Piazza Erbe. Fu l’inizio di una nuova vita. Quegli anni Settanta furono i dieci anni più belli della storia di Verona del XX secolo. Era tutto un fiorire di idee, di sogni e di lavoro. Proprio agli inizi di quegli anni ebbi la fortuna di andare a Venezia con Vittoria, la mia fidanzata, che poi divenne mia moglie, ho incontrato qui la classe dell’Harry’s Bar di Giuseppe Cipriani! Una domenica eravamo davanti alla porta e solo guardando dentro ho capito che lui non c’era, mancava la sua energia, quella che rendeva originale e unico il suo locale. Sul mio comodino ho la foto dei Cipriani, di questa meravigliosa famiglia, e un libro con la loro storia. Quelle visite all’Harry’s Bar furono per me l’illuminazione per il destino del mio lavoro: eleganza, stile, umanità e perfezione del servizio”. Ancora interrompe il suo narrare per seguire nuovi avventori e per loro diventa quel Virgilio che tanto servì a Dante.Ritorna e riprende a raccontare: “I primi anni al Marconi sono un ricordo indelebile. C’era un’energia incredibile, e prima di tutto quella di mia madre ai fornelli, i suoi piatti facevano letteralmente impazzire anche i non ingordi. Era la Verona che, anche i giornali nazionali, definivano della “Balena Bianca”. La Democrazia Cristiana guidava la città e gli incontri anche privati tra i vari politici e i loro aiuti si svolgevano spesso nei ristoranti, e noi diventavamo quasi confessionali da cui i segreti non uscivano. Poi, essendo vicini al Teatro Nuovo, molto spesso i grandi attori e le magnifiche attrici che vi recitavano si fermavano da noi a mangiare dopo lo spettacolo. Ricordarli tutti diventerebbe un elenco più lungo di quello delle donne di Don Giovanni cantato dal suo servo Leporello, ma voglio almeno ricordare Gina Lollobrigida, Catherine Spaak e Johnny Dorelli, Alberto Sordi, Walter Chiari, Alberto Lupo … me li vedo passare tutti davanti… ma soprattutto rivedo la leggendaria Josephine Baker. Fu un evento per tutta Verona, feci stendere un tappeto rosso di oltre quaranta metri per accoglierla, e lei Divina Baker mi abbracciò strettamente, sarebbe morta pochi anni dopo, ma in me c’è ancora oggi, profondo, il suo sorriso. Era una Verona che poteva contare anche su altri grandi ristoranti, quotati e penso al 12 Apostoli di Giorgio Gioco e alle Arche di suo fratello Giancarlo, al Tre Corone che dominava Piazza Bra e le notti dell’Arena, l’Accademia gran cucina dell’Hotel … Io mi distinguevo da tutti per i camerieri con lo smoking. Un servizio curato e attento che dava rilievo alla presenza delle grandi famiglie veronesi e non solo. Avevamo fatto una convenzione con tutti i medici di Verona grazie al grande luminare Piero Confortini. Una sera, alla fine di una cena, gli dissi: Un giorno l’Ospedale di Verona porterà il vostro nome. Lui sorrise. Quando hanno inaugurato a Borgo Trento il Polo Confortini, sua moglie è venuta da Padova, dove oggi vive, per abbracciarmi e ricordare i momenti belli passati col marito nel mio locale. Purtroppo, ad un certo momento, c’è stato un grave problema edile nella sede di Vicolo Crocioni, così ci siamo trasferiti in via Fogge, sempre come Marconi, ha voluto dire perdere una speciale atmosfera, e, soprattutto l’idea del buffet degli antipasti all’entrata. Intanto insieme all’espandersi del sistema fieristico veronese è coinciso il nostro impegno con queste nuove realtà. Esempio ne sono 32 anni che ho passato come Ambasciatore della Cucina Italiana in Belgio. Ogni 3 novembre ci siamo trovati a portare in quel Paese il fiore della nostra produzione alimentare e del nostro vino. Fu un’idea del fotografo Costantino Fadda e del giornalista Silvio Girelli, entrambi del giornale L’Arena, diffondere quello che nostre fiere presentavano. Il Vinitaly era nato da poco, nel 1967, e non dimentichiamo che sono gli anni in cui si fonda anche il mito dell’Amarone che da vinaccio contadino, stava diventando quel nettare che oggi conosciamo. Fu in uno di quelli incontri in Belgio, nei primi anni Novanta del secolo scorso, che mi successe un fatto indimenticabile. Eravamo al Casinò di Knokke-Heist, chiamata anche la piccola Venezia del Belgio, ed eravamo ospiti della Casa Reale. Gentilmente ci hanno suonato l’Inno italiano e poi sono cominciate le danze. Io stavo confidando a Fadda che non sapevo ballare, evidentemente la Regina Paola (Paola Ruffo di Calabria moglie di Alberto II) mi ha sentito e subito mi ha invitato a ballare con lei spiegandomi solo che dovevo seguire i suoi passi, ero imbarazzatissimo, ma mi impegnò per tre danze!”
Stanno servendo i caffè, non resiste, va a controllare, sente il Rubiani come una sua creatura. Cerca la perfezione in tutto. Non è raro vederlo anche in cucina a controllare il lavoro dei cuochi, non è un guardiano è un compagno di lavoro. Lo abbiamo visto consegnare a un giovane collega una coppia di tendicollo (le stecchette del colletto), per rendere più rigido e elegante il colletto della sua camicia. Particolari, per qualcuno superflui forse, me che danno il senso di una qualità del vivere che si riflette sulla qualità del servire, sul dare sicurezza a chi sedendosi al tavolo di un ristorante cerca la tranquillità di un grande servizio. “Al Marconi in via Crocioni era nata anche l’idea delle forchette personalizzate, che poi portammo avanti in via Fogge – riprende a raccontare – Era un’idea che piaceva molto. Chi veniva a mangiare si ritrovava con le sue forchette, un riconoscimento, come alle Closerie des Lilas dove il bancone del bar porta le targhette segnaposto memoria di illustri artisti da Verlaine a Hemingway, da Picasso a Gide. Il primo ad averle fu Campedelli padre, quello della Paluani, ma le ebbe anche la Signora Michela Sironi, 12 addirittura, perché veniva in via Fogge a fare le riunioni con i grandi elettori veronesi, rappresentanti dell’industria e del commercio, con cui discuteva e cercava idee per la città. Le aveva anche Teofilo Sanson, il grande imprenditore, e ne avevano 512 le famiglie veronesi importanti, senza dimenticare Luciano Pavarotti cui ho anche dedicato un “filetto ai funghi porcini”. Tra i politici più conosciuti che ebbero le posate, insieme al Presidente Pertini, che le volle al Quirinale, ricordo François Mitterrand, il grande Presidente francese, e il Signor Francisco A. Soler, ambasciatore de El Salvador molto attivo in Italia. Ad un certo punto la storia del Marconi si è incontrata con quella del Caffè Dante, i due locali erano di fronte sulla stessa via, solo che il Dante ha l’entrata principale nell’omonima Piazza chiamata anche Piazza dei Signori. Per me era un sogno che si realizzava. Lo comprammo con il resto della mia famiglia da mio fratello Ernesto che lo stava gestendo, e entrando ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo fatto tutti i lavori necessari a renderlo degno della città, dopo un periodo di grossa decadenza. Ci aiutarono in molti. La Signora Riello, insieme alla moglie del prefetto Francesco Giovannucci, ha rifatto gli arredamenti togliendo quelli caratteristici rossi ormai consunti, e sostituendoli con altri tessuti di altro colore. Ci fu un’insurrezione, per il cambio di colore, peggio che avessimo tradito la Patria, ma tutto risultava ben più luminoso e pulito. Luminoso e pulito come il nostro Paese dopo lo tsunami di tangentopoli, che cambiò letteralmente l’Italia e anche i contatti umani, portando a gravi conseguenze economiche. Ma avevo fatto in tempo ad avere ospiti importanti, come i Rothschild, che signori mi invitarono in uno dei loro palazzi francesi, restai subito abbagliato da una fontana lunga ottocento metri, da percorrere per arrivare all’immenso palazzo. Del caso mani pulite comunque ne risentimmo tutti. In quel tempo avevo aperto in Sottoriva il Cesare, il nome è dedicato al Dott. Cesare Smanio, Gran Cavaliere della Repubblica. Quel locale era forse il più bel Club di Verona. Ogni tre mesi c’era una riunione speciale si ritrovavano importanti personaggi veronesi per raccogliere fondi per gli studi di Rita Levi-Montalcini. Al Cesare ho veramente incontrato il mondo, tra gli ospiti anche Rania al-Yasin, nota da noi come Rania di Giordania. Poi un incidente imprevisto una trave che cede nell’edificio del Caffè Dante, chiusura del locale, 11 anni di lavori e la proprietà che è della Provincia, decide di cambiare strade. Io per due anni intensi vado a Villa Quaranta cercando di dare un’impronta particolare al ristorante dei Tommasi. Cerco di riprendermi aprendo un altro locale il Maria Callas …Maria Callas, una passione che da sempre mi insegue e mi ha portato poi a coinvolgermi in quel Premio Internazionale Maria Callas, nato a Verona nel 2013, e che ogni anno da allora viene consegnato a star della lirica il 2 agosto, la data in cui Maria esordiva in Arena. Ma se per il Premio è ancora un momento magico, per la ristorazione i tempi erano cambiati, la città era cambiata, si era fatta turistica … e anche questa esperienza si chiuse. Ma la fortuna non mi ha voltato le spalle e il telefono squillò ancora, ed era Nicola Marcolongo che si ricordava di me e che voleva dare una nuova impronta al Vecio Molin in Via Sottoriva, il mio vecchio Cesare Club! Per me è stato un colpo al cuore, avere degli amici sinceri in certi momenti della vita, e ritrovarmi a guidare quel posto, è cominciato un periodo gioioso sull’Adige, a guardarlo spumeggiare di notte servendo piatti adeguati, il mio vecchio mondo si è affacciato ancora. Solo gli scalini, la fatica di farli, la rinuncia dolorosa. E ancora una gioia profonda invece, ancora il telefono ed è Massimo del Rubiani, e non ci sono scalini, e c’è la disponibilità a realizzare un locale indimenticabile, come diceva Hemingway: un posto pulito e illuminato bene, dove mangiare è un piacere accompagnato da un servizio elegante e amichevole”. Il Rubiani. Ed è come se fosse un ritorno per Guido: era bambino, era la Bra, quella che non c’è più, e a raccontarla ti darebbero del matto. Alla fine del Liston, quell’incredibile passeggiata coperta dei veronesi, c’era la concessionaria Lancia, e le auto sfrecciavano in Bra per poi parcheggiare davanti ai bar per l’aperitivo, e dall’altra parte dove comincia Via Mazzini, naturale continuazione della passeggiata del Liston, c’era, sotto l’ala dell’Arena, lo storico Bar Motta, pasticceria fine e caffè, sempre pieno, ora sostituito da un negozio di intimo firmato E girato l’occhio verso Via Oberdan l’immagine di un ristorante, quasi un’isola di pace, nel frastuono della città. “Ero bambino e quell’ immagine tra la confusione intorno, mi era restata dentro, e poi l’incontro con Massimo, e il capirci subito, e il trovare il rispetto e la condivisione, al di là degli anni che ci separano, la confidenza. Se fossimo una squadra di calcio lui sarebbe il presidente e io il direttore tecnico, e che squadra abbiamo schierato qui al Rubiani”. Cari Massimo e Guido, dopo avervi salutato, ho fatto due passi verso la Bra e guardando gli enormi plateatici, colmi di avventori, ho visto legioni di camerieri e cameriere sudati e stanchi, è il peso della massa dei turisti, che trasforma anche la ristorazione in catena di montaggio. Ci rivoltiamo verso il Rubiani, vediamo Guido, calmo elegante e cordiale, portare sorridendo il dessert a una coppia di commensali che gli rispondono con rubiconda gioiosità. È questo che ti aveva colpito da bambino, Guido?”. Non servirebbe aggiungere altro, a quanto, sopra, dettagliatamente e amorevolmente, raccontatoci dall’impareggiabile Ugo, che, fra l’altro, ci ha, con le sue attente considerazioni, introdotto in un ormai antico passato, piacevole da ricordare, ma cogliamo l’occasione dello scritto, che precede, per aggiungere l’espressione della nostra massima stima e simpatia, per l’amico Morari, che, con la sua attività e con il suo finissimo modo d’accogliere e di servire, ha fortemente contribuito e contribuisce, non solo al nome di Verona, nella Ristorazione, ma, al tempo, pure, al suo indiscutibile lato economico. Nella foto: l'eccellente Guido Morari,all'opera...
Pierantonio Braggio








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