Veneto: siamo la regione d’Italia, che è ricorsa di più al 110%, anche se abbiamo speso, mediamente, meno di quasi tutti – rileva CGIA Mestre.
Gli ultimi dati disponibili[1] dicono che il Veneto è la regione, che, più di qualsiasi altra, ha fatto ricorso al Superbonus[2], per efficientare il proprio patrimonio residenziale. Infatti, a fronte di 59.652 asseverazioni, depositate presso l’ENEA[3], l’incidenza di questo numero, sull’intero stock di unità abitative, presenti nella nostra regione, è stato pari al 5,6 per cento. Nessun’altra regione d’Italia ha registrato una percentuale superiore alla nostra. Il dato medio nazionale, invece, è stato del 4,1 per cento. Nonostante questo record, la spesa in capo allo Stato, per ogni intervento effettuato in Veneto, è tra le più basse del Paese. Se, da noi, l’investimento medio è stato pari a 194.913 euro, solo la Sardegna e la Toscana, rispettivamente con 187.440 euro e 182.919 euro, hanno registrato degli importi inferiori. La media nazionale, invece, ha toccato i 247.819 euro. Gli oneri complessivi, a carico dello Stato, per le detrazioni maturate in Veneto hanno raggiunto complessivamente gli 11,6 miliardi di euro (pari al 9,5 per cento della spesa totale). In linea generale possiamo affermare che i proprietari di immobili, in Veneto, sono stati i più solerti a utilizzare questo bonus, anche se il valore economico medio degli interventi, portati a detrazione, è stato tra i più contenuti del Paese. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che, in merito al Superbonus, sin dalla sua introduzione (1° luglio 2020), ha espresso delle forti critiche e continua a ribadirle, anche nella nota odierna. In un momento così delicato, dove, con la prossima legge di bilancio verranno chiesti sacrifici a tutti, aver speso oltre 6 punti di Pil, per efficientare uno sparuto numero di abitazioni, fa arrabbiare chiunque abbia un minimo di buon senso. In linea generale, con il cosiddetto 110 per cento, lo Stato ha speso una cifra spaventosa, pari a 123 miliardi e, come illustriamo più sotto, efficientando una quota infinitesima di alloggi presenti nel Paese. Non solo, stando alle prime indiscrezioni, sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili, con una buona/elevata capacità di reddito, anziché rivolgersi in via prioritaria alle famiglie meno abbienti che, in linea di massima, presentano una probabilità maggiore di risiedere in abitazioni, in cattivo stato di conservazione e con un livello di efficienza energetica molto basso. Risultati ambientali modesti. Non tutti, comunque, sono concordi nel ritenere che il Super Ecobonus 110% contribuirà in misura importante ad abbattere le emissioni di inquinanti. Ancorché non ci siano valutazioni scientifiche, rigorose, sotto il profilo ambientale, l’abbattimento di CO2 sarebbe molto contenuto. Sempre, secondo la Banca d’Italia[4], le prime evidenze dimostrerebbero che, nello scenario migliore, i benefici ambientali del Superbonus compenserebbero i costi finanziari sostenuti in quasi 40 anni. Non solo, ci sono alcuni esperti internazionali che sostengono che la riduzione delle emissioni ottenuta con l’applicazione del Superbonus poteva essere maggiore, se si fosse incentivata l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento degli ambienti, la cottura di cibi e la produzione di acqua sanitaria. Insomma, in alternativa al gas-metano, sarebbe consigliabile utilizzare vettori elettrici (come le pompe di calore e le piastre a induzione), che sono significativamente più efficienti delle tecnologie, che impiegano fonti fossili[5]. Con 123 miliardi avremmo, 1,2 milioni di nuovi alloggi pubblici: 400mila in più di quanti ne disponiamo adesso. Chi, politicamente, ha voluto e continua a difendere questo provvedimento, sostiene che non si debba guardare solo alla spesa, che lo Stato si è fatto carico, fino ad ora, ma, anche agli effetti economici positivi, che esso ha generato. Vale a dire più gettito (Irpef, Ires, Iva, etc.), più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni di inquinanti. E’ un’obiezione legittima che, tuttavia, è facilmente confutabile, dalla tesi sostenuta da tempo dalla CGIA; se, invece di ricorrere al Superbonus, per incentivare quasi esclusivamente gli interventi di edilizia privata, ci fossimo avvalsi di questa misura, per demolire e ricostruire solo gli edifici residenziali pubblici, le conseguenze, appena richiamate, dai “sostenitori” del 110 per cento, sarebbero state praticamente le stesse. Con 123 miliardi di euro, avremmo teoricamente potuto costruire 1,2 milioni di alloggi pubblici, 400mila in più di quanti sono presenti nel Paese[6]. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso, avremmo compiuto un’azione di giustizia sociale, che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso. In Italia interessato solo il 4,1% degli edifici. Entro il 31 agosto scorso, gli interventi di ristrutturazione/efficientamento edilizio, realizzati per mezzo del Superbonus, sfiorano le 500mila unità (precisamente 496.315). Nonostante gli oneri, a carico dello Stato, siano pari a 123 miliardi di euro, solo il 4,1 per cento del totale degli edifici residenziali, presenti nel Paese, è stato interessato dall’agevolazione fiscale. A livello regionale, invece, è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al 110 per cento. Con 59.652 asseverazioni depositate, l’incidenza percentuale di queste ultime, sul numero degli edifici residenziali esistenti. è stata pari al 5,6 per cento. Seguono l’Emilia Romagna, con 44.438 asseverazioni e un’incidenza del 5,4 per cento, il Trentino Alto Adige, con 11.342 interventi e sempre con un tasso del 5,4 per cento, la Lombardia, con 78.125 asseverazioni e un’incidenza del 5,2 e la Toscana, con 38.532 operazioni e, anch’essa, con una incidenza del 5,2 per cento. Per contro, a “snobbare” l’incentivo sono state le regioni del Mezzogiorno: Molise e Puglia, ad esempio, hanno interessato solo il 2,9 per cento dei propri edifici residenziali, la Calabria il 2,6 per cento e la Sicilia solo il 2,2 per cento. • Ogni intervento è costato, mediamente, 247.800 euro. Oltre 400mila euro in Valle d’Aosta. Sempre, a livello nazionale, l’onere medio per edificio residenziale a carico dello Stato è stato di 247.819 euro. Il picco massimo lo scorgiamo in Valle d’Aosta con 401.040 euro, per edificio: seguono la Basilicata con 299.963 euro, la Liguria con 298.314 euro, la Lombardia, con 296.107 euro e la Campania, con 294.679 euro. Chiudono la graduatoria il Veneto, con un costo medio, per intervento, di 194.913 euro per edificio, la Sardegna, con 187.440, e, infine, la Toscana, con 182.919 euro. _____________ [1] Al 31 agosto 2024. [2] Questa voce non include gli effetti economici del Sismabonus. [3] Agenzia Nazionale Efficienza Energetica. [4] Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli effetti macroeconomici e di finanza pubblica derivanti dagli incentivi fiscali in materia edilizia, testimonianza di P. Tommasino, dirigente del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia, 5ª Commissione della Camera dei Deputati (Bilancio, tesoro e programmazione), Camera dei Deputati, Roma, 29 marzo 2023.[5] AA.VV., “Il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni in Italia: lo stato dell’arte e alcune considerazioni per gli interventi pubblici”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, numero 845, aprile 2024. [6] Si è ipotizzato un costo ipotetico per alloggio pubblico di 100mila euro.
Ora, rileggiamo bene la considerazione di CGIA Mestre, considerazione, di cui sopra, e che, qui, di seguito, riportiamo: “Con 123 miliardi di euro, avremmo teoricamente potuto costruire 1,2 milioni di alloggi pubblici, 400mila in più, di quanti sono presenti nel Paese. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso, avremmo compiuto un’azione di giustizia sociale, che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso”…
Pierantonio Braggio