Smart working: può causare depressione? Smaila - Gruppo Donne Confimi Verona: «Trovare il giusto equilibrio»
Occorre trovare il giusto equilibrio, nell’utilizzo dello smart working, una modalità di lavoro. che non è adatta a tutti e a qualsiasi contesto aziendale». Lo afferma Marisa Smaila, presidente del Gruppo Donne di Confimi Apindustria Verona, commentando i risultati della ricerca pubblicata, sulla rivista Journal of the Economics of Ageing – da economisti ed economiste dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Università di Padova e IFO Institute di Monaco –, che ha posto delle riflessioni sulla diffusione dei modelli di lavoro ibridi e da remoto anche nel post-pandemia. I risultati dello studio hanno evidenziato come lavorare da casa abbia un impatto significativo sulla salute mentale di alcuni gruppi, in particolare donne, persone single e genitori con figli conviventi. Secondo i ricercatori non tutti i lavoratori vivono, allo stesso modo, lo smart working, ancora oggi, al punto da diventare per alcuni una condizione difficile da gestire e un fattore di rischio per la sindrome da burnout. Imporre limiti rigidi o regole uguali per tutti, sui giorni di lavoro da remoto, rischia – è la conclusione dell’indagine – di non tenere conto delle esigenze reali della persona. La presidente Smaila evidenzia come, all’interno delle aziende, «non sia di per sé lo smart working ad essere il colpevole diretto di depressione o altre malattie di natura mentale, quanto la qualità del luogo di lavoro. In una qualsiasi organizzazione, che sia l’impresa, la famiglia, il contesto sportivo, occorre darsi degli scopi e avere la giusta motivazione. Se questo viene meno, si generano impatti in termini lavorativi e sociali, sia su noi stessi, che su chi c’è accanto, con ricadute sul sistema sanitario nazionale e sulla produttività». Per Smaila, «lo smart working deve diventare sinonimo di flessibilità positiva, utile a portare valore aggiunto all’azienda. Dipende però dai contesti: nella piccola e media impresa di produzione è chiaramente difficile metterlo in pratica. Il lavoro nobilita l’uomo, qualunque esso sia, ma l’importante è sapersi mettere in gioco nel proprio luogo di lavoro, dandosi sempre nuovi obiettivi, sia da remoto, che in presenza». Il dibattito, nel presente e nel futuro, dovrà essere sempre più virato, conclude Smaila, «sulla necessità di garantire politiche flessibili, capaci di adattarsi al contesto aziendale e a quello familiare di chi lavora, senza dimenticare la necessità di garantire la sostenibilità economica e la produttività dell’impresa». Considerazione molto importante, quest’ultima, oltre alle precedenti, in quanto, pur essendo, in qualche modo, specie, il lavoro dipendente, necessità e, quindi, costrizione, esso non deve traformarsi, in peso ulteriore, per l’interessato, il quale, per il bene dell’azienda, deve, invece poter operare in ambiente sereno, ove possibile, anche accogliente, e tale da trasformare il suo impegno in contributo al buon andamento della stessa, nell’interesse di chi, pur con i noti osatacoli, il lavoro crea e propone e di chi lo esegue. Da non trascurare, in materia, il fatto che grande importanza assume il tema competenza, derivante da propedeutica formazione ad hoc. Nella foto: Marisa Smaila.
Pierantonio Braggio

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