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Gioved 7 Ottobre 2010
I depistaggi e l'appello: «Cercate all'interno della nostra famiglia»

E zio Michele diceva: «Era la mia figlietta piccola, Sarah, era proprio come fosse figlia mia!». Lo ripeteva una, due, tre volte davanti alle telecamere: perché tutto è sempre successo così, in diretta tv. È andata così, in questa tragedia assurda che ha ballato sul cavo delle tv dai primi giorni, quasi da quel pomeriggio del 26 agosto nel quale il nulla ha inghiottito Sarah Scazzi, la ragazzina di Avetrana.

LO ZIO - «Veniva giù da me in cantina, a chiamarmi "Zio, è pronto in tavola!", me la vedo davanti!» diceva zio Michele, e lo ripeteva ancora e ancora fissando l'obiettivo negli ultimi giorni che il cerchio gli si stava stringendo attorno, mettendoci su le lacrime, stesse lacrime sulle stesse frasi, negli stessi punti cruciali del racconto. Adesso che ha confessato, Michele Misseri, dopo una giornata intera di interrogatori al comando dei carabinieri di Taranto - e mentre a casa sua c'era la troupe di Chi l'ha visto? che ha mandato in diretta il pianto di sua figlia Sabrina, cugina inseparabile di Sarah, la faccia impietrita e senza espressione di mamma Concetta, quelle degli amici sospettati ingiustamente, i respiri smozzicati, le frasi interrotte - adesso tutto assume un colore diverso, più cupo e terribile: i dettagli della vita di famiglia, la cantina, quei momenti tra lo zio e la nipote.

500 METRI - Perché sì, era sempre lì a casa loro, Sarah, in quella casa in fondo a via Deledda a nemmeno cinquecento metri dalla sua, quei cinquecento metri in cui s'è consumata la sua ultima estate, l'estate dei sogni da quindicenne che non ha fatto in tempo a vivere, l'estate della voglia di diventare grande, della compagnia con gli amici di Sabrina, Alessio e Ivano, delle notti al pub tirate fino all'alba, della voglia matta di scappare. Le stava stretta la vita, la casa, la famiglia, a Vico Secondo Verdi, con mamma Concetta troppo lontana e troppo fredda, con Claudio, il fratello maggiore, al nord a lavorare con papà Giacomo: tutto quel silenzio, tutti quegli abbracci mancati. Così l'altra sua vita stava lì, a casa dei Misseri, nella villetta con le palme di via Deledda dove c'era Sabrina, la cugina di 22 anni, quella scafata, che conosceva il mondo, dove ogni tanto tornava da Roma Valentina, 28 anni, ormai sposata, e dove c'erano zia Cosima e zio Michele, quasi un'altra mamma e un altro papà. Qui comincia e qui finisce la storia. Proprio qui sta venendo Sarah quando sparisce, alle due e mezzo del 26 agosto.

GIALLO - Deve andare al mare con Sabrina e Mariangela, un'altra della compagnia dei grandi. Dopo dieci minuti di ritardo, Sabrina le telefona due volte: la prima trova la segreteria, la seconda il cellulare muto. Il giallo di Avetrana comincia con quel silenzio. E comincia prestissimo perché - capiremo adesso come mai - Sabrina dà l'allarme in mezz'ora, si spaventa subito, allerta gli amici, «Sarah non si trova? L'avete sentita?». Uno degli amici è Ivano il pasticcere, 27 anni, belloccio: non risponde per tre ore ai messaggi di Sabrina, dov'è finito? «Facevo un pisolino, avevo lasciato il cellulare in macchina». Sua madre sulle prime lo contraddice, i carabinieri lo torchiano, Ivano si infila subito nei brutti panni del primo sospettato del giallo: Sarah peraltro ha una cotta per lui, lui ha avuto una storiella con Sabrina, l'ultima sera al pub le cugine se lo litigano. Si può svanire nel nulla, in un pomeriggio d'estate, nel cuore d'un paesello salentino come Avetrana dove tutti conoscono tutti? Si può scomparire in dodici minuti e cinquecento metri, senza che nessuno senta un grido?

RICERCHE - La storia di Sarah è un rompicapo, diventa l'enigma di fine estate. Cominciano le ricerche nei campi, nelle cisterne, nei casolari. Spuntano due testimoni che l'hanno vista quel 26 agosto attraversare via Kennedy, la strada grande che porta al mare; testimonianza fondamentale perché il percorso della sparizione si dimezza, Sarah è scomparsa tra via Sanzio e via Deledda dove l'aspettava Sabrina: nemmeno duecento metri. Mamma Concetta apre la porta della casetta azzurra in Vico Secondo Verdi a tutti i cronisti, tutte le telecamere, a chiunque bussi, nella speranza di ottenere un aiuto, con la paura che l'attenzione cada e Sarah sia dimenticata. Si fruga nella vita e nella stanza, nei cassetti e tra i poster di questa ragazzina di cui, nei primi giorni, viene delineato dalla cugina e dagli amici un ritratto angelicato e inverosimile: non accettava passaggi in auto, era timidissima, non aveva il computer e quasi non conosceva Internet. Quando salta fuori che Sarah è una ragazzina normalissima, con le sue cotte, con i suoi profili segreti su Facebook, con le agende in cui racconta quanta voglia abbia di piantare in asso paesello e famiglia, allora c'è chi strilla alla scoperta giornalistica. In realtà non s'è scoperto ancora nulla, il mistero di Sarah, nella sua banalità, sembra impenetrabile.

PISTE - Come in ogni rompicapo quando non si trova via d'uscita, a rischiare grosso c'è sempre il capro espiatorio. Dall'inizio spunta la pista romena, l'auto nera e misteriosa. In casa Scazzi c'è davvero una romena, Maria, la badante del papà adottivo di Concetta che ormai è in fin di vita (morirà a settembre e avrà un funerale affollato di telecamere che mai avrebbe immaginato). Quando Concetta si rivolge prima al Tg2 e poi a La vita in diretta e dice «indagate su di noi, su chi era in casa, sulla famiglia», tutti volgono gli occhi verso Maria la romena e il fratello che è venuto a trovarla a luglio. In realtà la mamma di Sarah, che è una donna emotivamente piena di problemi, sta dando, a modo suo, un'indicazione precisa. Forse sa qualcosa, forse ha intuito. Nessuno la capisce.

CELLULARE - Qualcosa si comincia a capire quando salta fuori, dopo 35 giorni, il cellulare della figlia. A sette chilometri da Avetrana, lungo la strada per Nardò, in un campo. Lo trova zio Michele. Finora, su questo set permanente in cui s'è trasformato dall'inizio l'enigma di Avetrana, Michele Misseri è rimasto nell'ombra, un'ombra sfuggente che passa nel giardino di via Deledda mentre le donne di famiglia recitano da protagoniste. Ora i riflettori gli si accendono addosso: perché le probabilità che proprio lo zio di Sarah, proprio il papà di Sabrina, trovi dopo più d'un mese in mezzo a un campo il cellulare della nipote (senza scheda sim e senza batteria) sono pari a quelle di fare tredici al totocalcio. «Stavo bruciando le stoppie, era come se Sarah mi stesse chiamando», dice lui, prima ai carabinieri, poi alle telecamere. «Ero tornato a cercare un cacciavite e ho trovato il cellulare...», ripete, piangendo. Ma quel cellulare, troppo integro per star lì da 35 giorni, è un atto d'accusa, non può essere un caso. «Era come se Sarah mi stesse chiamando», dice lui ai cronisti, e forse ha già voglia di svelare di più: «Me la rivedo ancora qui in cantina, Sarah», dice una sera alle tv, e piange. Gli dicono: dai, Michele, faccela vedere la cantina. «Magari un'altra volta», dice lui, mentre Valentina, la figlia grande, lo trascina via: «Basta, papà, basta». Ormai è questione di giorni, di ore. Tutto è successo lì sotto.





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