De Gregori e la pioggia: 50 anni di Rimmel nell’abbraccio epico dell’Arena di Verona
La copiosa acqua che sul finire del pomeriggio cade sull’Arena di Verona sembra quasi una scenografia voluta, necessaria. E in un certo senso lo è. Perché un concerto di Francesco De Gregori che celebra i cinquant’anni di Rimmel non può essere solo una commemorazione musicale: dev’essere un rito. E i riti, si sa, richiedono fatica, resistenza, dedizione. Il pubblico lo ha capito. L’artista anche. Sotto la pioggia battente - e il cielo che fino a mezz'ora prima era attraversato da lampi - l’anfiteatro romano più suggestivo del mondo ha accolto una delle voci più importanti della canzone d’autore italiana. De Gregori si è presentato senza alcun bisogno di apparire, come da sua indole: un cantastorie moderno, schivo ma profondamente lirico. Con lui, una band affiatata e coraggiosa, che ha scelto – come lui – di suonare comunque, di restare sul palco nonostante il freddo, per rispetto verso il pubblico, giunto da ogni parte d’Italia e che era doverosamente attrezzato con giubbe, teli, coperte. Il cuore della serata è Rimmel, l’album-manifesto pubblicato nel 1975. Un disco che ha trasformato la canzone italiana, fondendo folk, narrazione e introspezione, con una scrittura capace di evocare molto più di quanto non dica esplicitamente. Non a caso, Rimmel resta tra gli album più amati della nostra discografia: ogni canzone è un affresco, ogni personaggio diventa parabola, racconto, memoria collettiva. A rendere unica l’interpretazione di questi brani è, ancora oggi, la voce: un timbro profondo, opaco, crepuscolare, che col tempo si è fatto ancora più evocativo ed essenziale. Un canto che non cerca la perfezione formale, ma l’intensità del gesto. Una voce che non impone ma accompagna, che racconta, piuttosto che sedurre. Una voce che si muove tra il folk americano e il taglio del miglior storytelling europeo: un "countdown dorato" nel quale ogni canzone, verso il termine sembra essere sul punto di lasciar svanire le parole nel silenzio. Ma poi.. un'altra storia, un altro racconto. Ogni verso arriva nitido. De Gregori non spiega, non commenta, non interpella: non si rivolge al pubblico se non attraverso la sua arte. Come un autore che lascia al lettore il compito di trovare un senso, così il cantautore romano affida alle sue canzoni il compito di restare, di essere tramandate. In questo, il concerto all’Arena non appare come operazione nostalgia, ma una testimonianza viva di cosa può essere oggi la grande canzone d’autore.... e di quanto siano attuali, ahinoi, certi messaggi. In scaletta, accanto a Rimmel, anche i brani che hanno scandito decenni di carriera: ognuno con la sua storia, la sua morale, il suo tempo. Verona ha risposto con gratitudine, con una resistenza silenziosa e commossa. Nessuno ha lasciato l’Arena. Anzi, la pioggia ha quasi aggiunto valore all’esperienza, come se ogni goccia caduta fosse parte integrante di una partitura. L’acqua ha bagnato tutto, tranne la poesia e gli strumenti musicali della straordinaria orchestra che lo accompagnava. E se cinquant’anni fa Rimmel raccontava l’inizio di un cammino, oggi – sotto il cielo di Verona – è sembrato raccontare anche la sua continuità. Perché De Gregori, più che un artista, è diventato un archivio vivente del nostro immaginario. E la sua voce, a tratti roca ma pur sempre profonda, continua a restituircelo con l’umiltà e la grandezza dei veri poeti.